L'oblio del mondo

«La realtà è l’invenzione di un bugiardo» H. Von Foerster

«È come una stessa manciata di sabbia che può prendere forme diverse, o come la nuvola di Amleto che cambia aspetto da un momento all’altro.» L.Hjelmslev

«Décreation : faire passer du crée dans l’incréé. Destruction: faire passer du créé dans le néant. Ersatz coupable de la décreation» S.Weil

1 Il vecchio
Questa creazione mi ha un po' preso la mano. Era partita scherzando, mezzo per gioco e mezzo per scommessa, con Luz.

Devo ammettere che sono stato imprudente. Luz ama molto fare distinzioni, articolare conoscenze in alberi e organizzazioni, creare tassonomie, immaginare strutture infinite nelle quali far cadere questo e quello secondo una miriade di criteri, di forme, di ipotesi da verificare nel tempo. Ecco, il tempo: un'altra sua passione, il prima e il dopo, quello che anticipa e ciò che segue: la causa, l'effetto, la conseguenza, la concomitanza; l'inizio, e quindi di conseguenza la fine, o le possibili fini; e via così a discettare, distinguere, e parlare, parlare…

Mi sa che è proprio per questo che mi sono fatto convincere, che ho ceduto: mi ha stordito a furia di chiacchiere, e io, che sono un tipo pratico, ho voluto fargli vedere come farei io, o meglio come va fatto: l'unico modo per creare un universo. E lo stesso aveva da ridire: le costanti universali non gli piacevano, sempre un infinitesimo in più o in meno, come fosse il sale nella pasta. E gli elementi, troppo pochi per lui; e poi i giardini, e non parliamo di quell'albero... Se l'è presa poi con quei due poveracci con la testa vuota e i loro grossi cervelli da inzuppare di fesserie: si può ben dire che ha scatenato l'inferno. Con quei due ha avuto gioco facile, ha fatto il saputone, e giù a insegnargli: tutta la struttura del giardino, l'origine delle piante, la tassonomia di vegetali ed animali; e che loro no, erano diversi, e l'uomo e la donna, e giù un mucchio di altre panzane; e il bene e il male, e il bello e il brutto, e l'utile, e il pernicioso... e con tutte queste fole quei poveretti si sono convinti che bisogna sapere, sapere, e ancora affannarsi a sapere. Quei sempliciotti non se la sono più levata 'sta passione per distinguere questo da quello, e se stessi dal resto; e poi anche loro si sono messi a parlare parlare parlare... Non gli bastava nemmeno una lingua, no. A furia di fare distinzioni ne hanno inventate centinaia, migliaia, dialetti, perfino idioletti... Faccio fatica a stargli dietro, tanto più che si affannano a rivolgersi a me di continuo. Faccenda fastidiosa questa: le preghiere sono gentili ma monotone, mentre insulti e bestemmie decisamente più fantasiosi... Luz ci bada più di me (ci credo, è opera sua), si sganascia, mi punzecchia, e sollecita punizioni, diluvi e cataclismi. Quante sciocchezze!

Però non è questo il problema. E' che tutta questa cosa della creazione mi è venuta un po' a noia, come dire... io sono più orientato alla visione d'insieme, al tutto; più che distinguere sono portato a cercare i collegamenti, le relazioni, il grande respiro, il quadro d'insieme, la simultaneità. Per dirne una: il tempo: non l'avevo fatto per questo! Se corriamo dietro ai nessi causali come fa Luz c'è da dannarsi... un groviglio, un garbuglio, uno gliuòmmero, una matassa inestricabile di nodi. In verità il tempo l'ho creato perché mi piacciono le sorprese: quelle cose che non ti aspetti che quando capitano è uno spasso perdercisi dentro, al punto da dimenticarsi perfino di se stessi. E quando ne emergi ti dici: cazzarola, valeva la pena aver inventato il tempo! Ma con Luz dietro che cronometra, capirete che è difficile. E la materia, lo stesso: io mi muovo, danzo, creo, e questa esiste. Esiste e basta, vedete, è lì nel tutto, e io assieme. Ma subito Luz nota che ci sono irregolarità, regolarità, interruzioni, opposizioni, increspature alle quali dà una enorme importanza e che prontamente nomina e chiama forme. E poi naturalmente trova anche dei difetti che classifica...

Ecco, penso che si capisca perché adesso vorrei ripensarci, fare diverso, fare meno o non aver fatto affatto, a cominciare da Luz. A suo credito c'è da dire che all'inizio era un buon diavolo, si dava un sacco da fare e ha dato una grossa mano. Non che ce ne fosse bisogno, ma era un gusto vedere come si ingegnava. Però non mi sono accorto di quanto ci mettesse del suo. Non nego che all’inizio questo suo lavoro di osservazione mi piaceva; dava, se volete, un senso ulteriore rispetto al mio piacere di darmi daffare. La lusinghiera impressione di lasciare un segno. Ma adesso lasciare il segno in questo modo non mi interessa, vorrei piuttosto “lasciare” il segno in altro modo: abbandonarlo, lasciarlo cadere.
Occorrerà prima di tutto disfare. E questo è un problema che non mi sono mai posto sul serio: quando uno crea non ci bada. Ci pensate, mentre sono lì che separo la luce dalle tenebre, il cielo dalla terra... Tutte cose che non c'erano, eh... Nemmeno Luz avrebbe potuto pensarle. Ecco, mentre creo cosette come quelle dovrei mettermi a prevedere: e poi come le disfo? No, non ci ho pensato. Ho fatto così, di getto.
E adesso per tornare indietro, come si fa? Voi dite: che ci vuole? Come hai fatto distruggi! Pare facile... Voglio dire, la distruzione non si può certo opporre alla creazione, non credete? Va bene: fai sparire una cosa, la cancelli dalla creazione, ma non sono mica solo, no? Non più, non ora. Di ogni cosa rimane sempre la memoria, la traccia, il fatto che si chiamava così e così, che stava lì, dall'anno tot all'anno tot, con questa e quella caratteristica, in un dato rapporto con tutto il resto, eccetera. Per esempio: la giraffa; posso far sparire tutte le giraffe una volta per tutte, ma ci sarà sempre qualcuno –fosse anche solo Luz– a ricordare che c'era, a raccontare com'era, come si poteva distinguerla dalla gazzella, dalla zebra, dal porcospino, e giù a snocciolare philum, classe, ordine, famiglia; e poi il patrimonio genetico: tutta la sequenza, amminoacido per amminoacido. Capirete che non si può fare. Non funziona.
Potrei allora scendere sullo stesso terreno di Luz e giocare al rialzo, rilanciare, e via: distinzioni alternative e in contraddizione palese tra loro, e soprattutto minuziosissime. Che confondano i confini esistenti tra le cose, in modo che alla fine non sia più possibile distinguere nulla da nulla senza aver scelto prima un modo, uno tra un milione, per fare questa operazione. Un caos, un guazzabuglio, un continuo dover precisare, distinguere, una cosa da far passare la voglia a chiunque, perfino a Luz. Indubbiamente questo sistema avrebbe una sua efficacia, e non mi sarebbe difficile batterlo sul suo campo. Da fargli venire un bel mal di testa. Ma francamente non è il mio stile, non è così che farei, e poi potrebbe sembrare che voglio competere con lui, e già quello si monta facilmente la testa. Per non parlare degli altri, le creature, quelle veramente perdono il poco di pace che gli è rimasta, e poi guastano anche la mia.
Non resta che un modo che sia efficace e mi si addica: dimenticare. Ho concluso che il contrario della creazione non è la distruzione ma l'oblio. Piano piano, molto lentamente, molto molto lentamente lasciar cadere questa o quella parola, e smettere di dirla; smettere di rammentare un evento del passato dopo l'altro, smettere di immaginare e di progettare quello che deve accadere: cadrà un evento, poi un altro, ma piano, che nessuno se ne accorga, al massimo dirà: «mah... boh...» e così un po' per volta far sparire gli eventi, cancellarne le tracce, e poi le tracce delle tracce. Sospendere con infinita pazienza lo scandire inesorabile dell'esserci nel tempo, e cessare anche questa ultima distinzione. E poi, quasi impercettibilmente cessare di richiamare i nomi: uno dopo l'altro li lascerò cadere, fino all'ultimo, quello di Luz.

2 Luz
Il mondo è un calcolo, anche se il vecchio non lo sa, o magari non gli interessa. A lui basta creare, esprimersi, sfogarsi... Ma per me che mi tocca stargli dietro la vera dannazione è il mettere tutto in ordine: quando sembra che tutto vada al suo posto c’è sempre un frammento che sfugge, a un passo dall’essere catturato, compreso, chiarito, finalmente chiuso, e manda tutto a monte. La vera dannazione è la maledetta circolarità tra ambiguità ed esattezza, che fa sì che la realtà mi sfugga proprio nel momento in cui sto per coglierla, questo per via di qualche maledetto termine che fino ad un attimo prima era esatto, e che di colpo cambia volto, per cui alla fine alloggia un senso più profondo che non si era palesato in precedenza.

Il maledetto vecchio è un gran genio: prima per anni, secoli e millenni, e poi per milioni di anni mi sono sforzato di imitarlo, di cercare di creare qualcosa, di lasciare nel creato un segno che sia solo mio: ma niente, mi devo rassegnare. Sono buono solo a organizzare, classificare, sistematizzare, calcolare con grande fatica quello che quell’incontrollabile energumeno è in grado di tirar fuori senza posa, senza fatica, senza un solo pensiero, come se respirasse.

Eppure una cosa sì l’ho creata. Una sola cosa ho fatto che lui non ha nemmeno sospettato. Lui avrà creato il mondo, ma io, io solo ho inventato la realtà. Due esperienze non sono mai le stesse, ma la realtà, quella è identica per tutti. Cristallina, immutabile, attendibile, esatta. La sola, unica, vera manifestazione del mondo valida per tutti, e perciò inconoscibile senza di me, che l’ho nominata per primo. E la realtà, cari signori, a differenza del mondo che è gratis, si vende! Il mondo tutti lo percepiscono così come viene, ciascuno un po’ a modo suo, ma abunde et diu... Ma la realtà, ah, la realtà no. La realtà la si conosce. E mica tutti son capaci: conoscere, cari miei, non è faccenda per tutti. C’è chi lo sa fare, chi ci riesce subito in modo convincente, e invece chi ne è assolutamente incapace, e allora bisogna insegnarglielo, come è fatta la realtà. Gliela si da un poco alla volta, che non faccia indigestione. Conoscere significa organizzare, strutturare, sistematizzare... Mettere in ordine insomma questo mondo così disordinato, confuso, ingarbugliato. Questo groppo informe, questa materia indistinta, quest’ombra mobile che è il mondo, che nessuno si cura che sia lo stesso per me o per te, o per loro che parlano un’altra lingua. Ma la realtà, no! Quella è un’altra faccenda: la realtà è una sola. Una per tutti. E per mettersi d’accordo allora serve l’esperto, che poi è quello che ha messo ordine, quello che ha dato i nomi alle cose, che ha separato le acque dai cieli, la terra dal mare, il rosso dal blu, il bene dal male, la giraffa dall’ippogrifo, il cerchio dal comesichiama... il quadrilato (ho dei buchi di memoria), ah no, il quadrilatero. In definitiva gli servo io. Solo grazie a me possono dare alla materia indistinta dei loro sogni, fatta di sabbia e nuvole, una forma precisa, e poi scambiarla fra loro in modo che abbia lo stesso valore, lo stesso peso, lo stesso significato. Ecco, diciamo che se il mondo ha un valor d’uso, la realtà ha un valore di scambio! E solo così loro possono scambiare tra loro il guazzabuglio di emozioni che gli annodano la gola o dare forma ai progetti che gli ingombrano la mente e fare case, macchine da cucire e quelle cose con le ali... gli aeroplani. Ecco si, è vero, ho preso a parlar di loro. So che per il vecchio sono poco più di una scocciatura con il loro berciare continuo. Sarà forse perché più di una volta mi hanno stupito, o magari solo perché loro mi stanno ad ascoltare, ma col tempo ho imparato ad apprezzarli, qualche volta a stimarli. Sono i soli che come il vecchio sono capaci di essere imprevedibili, e come lui si agitano un sacco e si sforzano di inventare qualcosa. E poi della realtà si sono appassionati in modo smodato, mi è bastato dargli il “la” e sono diventati dei veri fanatici della realtà. La cercano di continuo, si affannano a fare distinzioni, a dare nomi, organizzare sistemi, a opporre tra loro la rava alla, come di dice (ma che fatica a ricordare!), ah, si la fava; a precisare che fu nel millesettecentoottantanove che ci fu... Cos’era? L’invenzione della bicicletta? Beh, ora non ricordo i dettagli, non importa. E per queste distinzioni, per decidere quale sia quella vera, quella che risponde alla realtà, sono capaci di menarsi, di uccidersi, perfino di fare guerre.
Ma ora non so che mi prende. Come un senso di smarrimento, un vuoto, ho in testa una tale confusione, annaspo, sento che la realtà mi sfugge...

Non vorrei fosse un’altra delle diavolerie del vecchio…

Nota
Sono in debito per l'ispirazione a Italo Calvino per "La memoria del mondo e altre storie cosmicomiche" Milano 1968, Club degli Editori

A.C. 2017